Contraddizioni di uso comune 


Essere tirati a lucido come una zuppiera francese non è più motivo di sincera ammirazione da quando gli aristocratici ultramoderni e d'avanguardia hanno iniziato a conciarsi come i loro domestici, i domestici come i maggiordomi, i maggiordomi come i borghesi, i borghesi come gli aristocratici. 

Il mutamento dei costumi - si sa - sigilla la metamorfosi dei tempi. L'abito sgualcito fa mondano e progressista, quello piallato e ben fasciato fa volgare o dozzinale. Troppo incline, forse, a paradossi e contraddizioni l’ultimo decennio, malgrado ciò, siamo sempre più inebriati dal sentirci disperati e orgogliosamente contemporanei. 

L’umile rinuncia alla modestia - così come la modesta sontuosità - rappresentano il nostro tempo quasi quanto la necessità di aver fiducia. Fiducia nella modernità e nella civilizzazione, nella scienza e nella poltrona dell’analista, negli astri e nella medicina, negli arredatori, negli chef pasticceri, nella professionalità e nell’arte del lavasecco. Ma io di fiducia non ne ho più, soprattutto nei confronti della mia lavanderia.

Se il microonde è l’invenzione che ha rivoluzionato l’era moderna, la lavatrice ci ricorda il sublime piacere della delegazione. E sebbene lamentiamo stenti e privazioni, le lavanderie rievocano nel nostro spirito quel lusso provvisorio di antica data dell’avere un fedele servitore - e di cui non possiamo certo fare a meno. 

Recarsi in lavanderia al sabato mattina è quindi un’occupazione sfarzosa e, per questo, popolare. Un'illusione provvisoria di lussuosa sobrietà. Camminare in centro impettiti come tacchini pavoneggianti, sfoggiando abiti incellofanati spumeggianti di bucato e tulipani bianchi freschi di frigorifero a mo’ di baguette, è l’essenza più autentica del secolo attuale. Un esercizio sociologico immersivo di cui fare esperienza. 

Mausolei di indumenti dimenticati e regni proibiti a tarme e sudiciume, le lavanderie scaturiscono in noi l’eterna contraddizione del presente, il compiacimento della subordinazione e la perenne delusione e presunzione nel presagire un risultato che ci rende insoddisfatti. E tre sono le prove che nobilitano le nostre convinzioni.

Primo, la riga di un pantalone non sarà mai stirata in modo perfetto. Secondo, un capo nero tornerà sempre nel guardaroba abbrustolito dal troppo vapore. Terzo, nessuno ha ancora inventato una raccomandazione in grado di frenare l’estasi della lavandaia nel pinzare con due turpi e ignobili graffette metalliche un capo d’alta moda al numero d’ordine del suo proprietario.

Sdegnati e iracondi ce ne torniamo quindi sulla nostra strada, a rimpinzarci di brioche e latte di mandorla australiana. Consapevoli del fatto che un tracollo nervoso è indispensabile alla contemporaneità quanto un cappello lo è per gli invitati al Royal Ascot. Felici del nostro snobismo estetico e culinario, responsabili di una morale scandalosa che rappresenta la massima verità del bel mondo figlio del nuovo secolo.


Illustrazione a cura di Francesca Caserta

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L’Arte della Seduzione