Lo zoo degli animali

Ho sempre pensato agli epitaffi come a un grande esercizio di stile. Il mio, per esempio, lo immagino più o meno così:

Nacque con i capelli del demonio.

Pregò Dio, per tutta la vita, affinché del demonio conquistasse anche la seduttività. 

Pare che venire al mondo con una chioma infernale, più che un fausto evento, sia la plateale epifania di un temperamento indomabile. Così ogni tanto (forse per colpa di quel vizio borghese che fa eternamente appello alla redenzione) ho anche pensato di coprirla. Uno straccio cupo di chiffon in testa, la pelle opalescente di un’ostrica di Bretagna e la noncuranza di chi sa come alternare la leggerezza dello champagne al dramma dell’acqua benedetta.  

Sapete, una volta, conciata così, ci sono arrivata fino a Siracusa. Il problema, in quel caso, non fu tanto il mio patetico virtuosismo nei confronti dell’espiazione, quanto quella provinciale convinzione secondo cui, se ti vesti a lutto e respiri ancora, allora deve esserci proprio di mezzo una disgrazia. 

Io però, di disgrazie (fatta eccezione per quei momenti della vita in cui ho scoperto che le uova non possono essere bollite in una teiera, che i colli di volpe gialla non provengono da volpi con l’ittero e che - se piove - non puoi strizzarti i piedi in un paio di stivali in cocco solo perché il coccodrillo nuota) non ne ho vissute tante. E le uniche disfatte che so per certo di poter annoverare sono quelle amorose. 

Così, un po’ perché agli attori seppelliti in terra sconsacrata ci ho sempre creduto e un po’ per puro atto di compiacimento nei confronti del cordoglio cittadino, ho raccontato all’intera città di quella lunga lista di mariti - ipoteticamente ed emotivamente defunti - che giacciono stecchiti nel mio cuore come le bestie sincopate sul camino di mia nonna. 

Che poi, se ci penso bene, anche io, come mia nonna, di bestie ne ho collezionate tante. E credo proprio che se l’Arca di Noè fosse stata un’arca del peccato sarebbe stata di certo casa mia. Che volete farci: ogni regina ha il suo castello e ogni maîtresse il suo bordello. Per questo, forse, a me non è restato altro che gestire lo zoo degli animali. Così ho fatto come la principessa Vilma. Una rana di Titicaca nella vasca da bagno, un sauro cornuto del Texas nel letto e più di qualche coccodrillo nell’armadio. 

Una volta poi, un cucciolo di coccodrillo impagliato, volevano pure regalarmelo per davvero. Scenico sicuramente, anche se avrei preferito un leopardo. Perché alla fine, se proprio devo essere associata a una bestia, preferirei che questa fosse una pantera, magari proveniente dall’isola di Giava. Al massimo, potrei prendere in considerazione una salamandra da salotto, una tigre da appartamento o una vipera da giardino. E invece no. Mi hanno dato della cozza selvatica. 

Si perchè, stando a quanto dice uno dei miei brillanti amanti del passato, pare che io abbia assunto di recente le sembianze di un mollusco allo stato brado. Eccolo qui, un rarissimo esemplare di indomita Araba Fenice. Risorto miracolosamente da un cumulo di ceneri carbonizzate con il solo intento di recapitare un messaggio. 

Ora. Che io abbia fatto del capriccio di Afrodite e dell’ombra di Persefone culto e devozione è cosa nota a tutti. Ma che il mio aspetto avesse anche lo straordinario potere di far tornare in vita morti e disperati, questo no, non mi era ancora dato saperlo. Peccato. Peccato davvero. Perché in lui (come in molti altri) di Adone, è rimasto solo il vizio di tornare ciclicamente. 

Comunque poi anche del leopardo rinsecchito - come di molte altre cose della mia vita - me ne sono occupata da sola. L’ho piazzato sul pavimento. Un bel tappeto di leopardo. Lui si che è esotico. Non come quelle bestie a cui di esotico non è rimasto altro che un nome.


Illustrazione a cura di Francesca Caserta

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