Venere in orizzontale
Se è vero che il dramma si consuma in atti, è anche vero che il mio si consuma in letti. Motivo per cui se, per quanto riguarda il primo, c’è chi spera e chi dispera, per quanto riguarda il secondo, c’è chi viene accolto e chi ne viene esiliato.
Vivo al settimo piano di un palazzo milanese. Un signorile palazzo milanese. Uno di quelli che trasudano virtuosi pragmatismi e acri integrità. E all’interno di un sofisticato circolo di benpensanti, ho stabilito la mia residenza. In un guazzabuglio che odora di amore marcio e ludica carnalità.
Così, ogni notte, mentre tutti si abbandonano al sonno, io abdico a ogni principio morale e mi abbandono all’amore libero. Viscerale, avido, profano, ma pur sempre libero.
Ho sempre pensato che un giorno avrei scritto di tutti i miei amanti, di questo grazioso traffico di esuli viandanti. Perché in fin dei conti, se proprio devo trovargli un merito, è quello di aver contribuito con una certa costanza allo sconvolgimento della mia noia. Miseri e miserabili. Poveretti. Costretti a un’interminabile tortura e allo stigma di tutto il mio esibizionismo, mentre in silenzio me ne sto in uno stato di grazia orizzontale a lasciarmi venerare.
Comunque, l’altra notte, poco prima di rientrare, tra lo snobismo silenzioso di via Sottocorno e la sterile ebrezza di un gruppo di passanti, ho incontrato una donna. Una di quelle che hanno l’aria di dominare il mondo. Una di quelle che si guadagnano da vivere seminando la felicità tra gli uomini. Mi ha confessato di qualche peccatuccio mondano. Poi, prima di uscire di scena, grondante di retorica, ha detto: sai, non si può togliere una parola da una poesia.
È vero. Ma non si può spogliare nemmeno una parola di tutta la poesia che contiene. Sarà per questo che io semino solo disperazione. Perché alla fine, l'unico linguaggio da cui mi lascio davvero sedurre è quello delle parole. Non dagli sguardi prolungati, non dai fievoli tremori. Solo dalle parole. Dalle parole, o dai silenzi condivisi.
Così, quando un nuovo amante fa il suo ingresso in questo sontuoso scannatoio, io non faccio altro che starmene su una vecchia chaiselongue. A contemplare e a lasciarmi contemplare. Come Venere. Reclinata su un abito funereo, ad attendere in silenzio un abisso di parole su cui abbandonarmi. Parole che nessun egocentrico e narcisista è davvero in grado di pronunciare. E che per questo, verrà esiliato.
Che poi, a pensarci bene, dovrei ugualmente soccombere. Dopotutto, molti individui - in posizione orizzontale - hanno scalato le vette più alte dei salotti internazionali. E, tutto sommato, magari questa potrebbe anche essere la mia grande occasione.
Sapete, di recente uno dei miei amanti ha detto che ho un bel modo di stare al mondo. E questa, tra tutte le cose che mi siano mai state dette, mi pare certo la più bella. Sarà per questo, forse, che alla fine ho abbandonato anche lui. Il problema, in questo caso, è che così facendo, ho abbandonato un po’ anche me stessa. Così, di notte, ogni tanto, lo aspetto ancora. Un po’ per noia, un po’ per borghese cortesia. E più di tutto, forse, per lasciare ammuffire il mio ego in un pantano di inutili parole.
Per questo scrivo, perché è l’unico modo che conosco per amare.
Illustrazione a cura di Francesca Caserta